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Editoriale

da il Maestro nn. 7-8/2017

Aria di contratto

Giuseppe Desideri

L’anno scolastico si chiude con un bilancio fatto di luci e ombre. Fra le luci va sicuramente ascritta la dichiarata volontà da parte della Ministra Fedeli di aprire le procedure per il rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del personale docente. Un impegno importante visto che il contratto è scaduto da ormai più di otto anni; un impegno dovuto visto che, non solo da un punto di vista economico, il contratto è inadeguato alle esigenze della professione.

Ed è proprio su questo punto che le piattaforme negoziali, che le Organizzazioni sindacali stanno concretizzando in questo periodo, sono maggiormente attive. L’aspetto economico in sé, infatti, se pur centrale nella ridefinizione retributiva della docenza, che vede mortificata la professionalità proprio sul fronte dell’aspetto salariale è, forse, l’aspetto su cui convergono maggiormente le diverse posizioni.

Già nell’accordo-quadro dello scorso novembre 2016 per tutto il comparto statale sono state poste le basi per quello che dovrebbe essere l’importo dell’aumento a regime e standard in busta paga previsto in 85 euro circa. Ben poca cosa rispetto alle attese, ma questa è la base su cui si discuterà.

La vera partita si gioca, invece, su elementi di natura contrattuale, che incidono direttamente sul profilo della funzione. Su alcuni di questi l’AIMC ha ripetutamente espresso con chiarezza, e in tempi non sospetti, la propria posizione e il proprio convincimento.

Innanzi tutto una questione preliminare: il ruolo unico. È fuor di dubbio che questo contratto non potrà risolvere e definire tale questione, ma non può nemmeno non entrarci, ponendone almeno le basi per una concretizzazione futura. La diversa caratterizzazione oraria e retributiva dei docenti è figlia di epoche e culture lontane e la sua esistenza in vita è uno schiaffo alla comune professionalità e agli equipollenti percorsi formativi iniziali.

Quale differenza di professionalità esiste tra un docente di scuola dell’infanzia, scuola primaria o secondaria? Dipende dall’età degli alunni? L’annullamento dell’anacronistica differenziazione comporta la ricerca di soluzioni complesse con una difficile gestione delle fasi transitorie. Ma di fronte alla complessità e alle difficoltà, la soluzione corretta non può essere sicuramente quella di fare finta che il problema non esista e che, soprattutto, non sia una palese “ingiustizia”.

Altra questione importante è quella della valorizzazione della funzione docente. Valorizzazione che passa sia attraverso la definizione corretta del profilo del docente, che evidenzi la dimensione intellettuale e professionale vs quella impiegatizia /burocratica, sia attraverso l’esplicitazione della complessità dell’essere e del fare l’insegnante, che passa anche per fare emergere e rendere visibili i tempi “sommersi” dell’orario docente: quei tempi che sono parte integrante della prestazione professionale, ma che non sono evidenziati.

In campo europeo e internazionale la scelta è profondamente diversa e permette di rendere pienamente trasparente l’impegno del professionista di scuola. L’idea, non nuova ma mai analizzata compiutamente, potrebbe essere quella di un orario complessivo settimanale omnicomprensivo di tutti gli adempimenti riferiti alla funzione docente.

Per ultimo, ma solo per trattazione in quanto alla base di tutto, il tema della valutazione. Fondamentale, come ripetuto spesso dall’Associazione, è eliminare definitivamente la connessione valutazione/merito/premialità. Non si deve essere valutati per essere premiati. Si deve essere valutati per poter aver chiare le proprie criticità e le proprie potenzialità professionali. La finalità non è dare o ricevere un premio per migliorare uno stipendio inadeguato. Il fine della valutazione, nella scuola, per tutti è solo quello di migliorare e migliorarsi. Purtroppo, una certa cultura meritocratica pone premi, classifiche, punteggi al centro del discorso valutativo.

L’AIMC da sempre ha ritenuto che la cultura valutativa sia ben altro. Speriamo che il prossimo contratto sia un contratto coraggioso. Che getti il cuore, anzi il pensiero della professione, oltre gli ostacoli e riesca, finalmente, a portare sulla strada del riconoscimento la docenza, quale professione a tutti gli effetti, che ha come fine prioritario il bene comune educativo.

Sentinelle e costruttori di ponti                                                    da il Maestro nn. 5-6/2017

 

Giuseppe Desideri

 

All’indomani dell’ultima Conferenza nazionale del quadriennio, importante tappa di riflessione per il percorso precongressuale, sembra giusto sottolineare la preoccupazione comune a chiunque abbia a cuore il bene associativo di come porsi, quali soci dell’Aimc, di fronte alla complessità sociale e culturale dell’oggi e del prospettato futuro che si ripercuote, inevitabilmente, sulla scuola e sulla professione. 

Come orientarsi in tale complessità, come interpretare il ruolo di appartenenti a un’associazione professionale di identità cattolica?

Due mission sono emerse dall’ampiezza e ricchezza della riflessione. Due mission traducibili in immagini ben definite che, non a caso, sono direttamente riconducibili a due inviti pressanti rivolti dal Santo padre ai laici: essere “sentinelle” e “costruttori di ponti”.

In che senso? Dobbiamo essere con le antenne ben vigili nell’oggi, quindi essere attenti osservatori delle cose che succedono, perché mentre noi facciamo le analisi il contesto cambia e, quindi, dobbiamo fare una nuova analisi, entrano in gioco variabili diverse (lo stiamo vedendo: i decreti hanno aperto alcune variabili, altre situazioni creano altre variabili, si verificano tutta una serie di fattori che interagiscono e rendono complesso anche il solo interpretare il nesso di causalità).

Viviamo pienamente il cosiddetto effetto “butterfly”: un provvedimento, un’azione provoca un’onda lunga di processi che produce effetti che dal micro vanno al macrosistemico.

Prendiamo l’esempio della nuova previsione di gestione del segmento “zero-sei” introdotto dal Decreto susseguente la Legge 107/2015. La previsione normativa, che introduce una specifica qualificazione professionale per gli educatori dello 0-3, ha come onda lunga di inferenza il dibattito sul ruolo unico docente che, soprattutto negli ultimi tempi, l’Associazione sta tentando di ri-alimentare tra varie e notevoli resistenze.

Viviamo su diversi e diversificati versanti situazioni in cui dobbiamo ridefinire continuamente la rotta (mentre stiamo guidando l’automobile ci “spostano” l’autostrada) e dobbiamo essere bravi a contestualizzare in progress. È un vero e proprio “cantiere” per costruire ponti. Una pluralità di ponti verso mondi a noi prossimi, ma anche più distanti.

Ponti verso: la famiglia che sicuramente è universo complesso con cui vogliamo e dobbiamo confrontarci. Vediamo i lati deboli della famiglia, ma se ci decentriamo e ne assumiamo i parametri di lettura, vestendo i panni di genitori, riusciamo a vedere i lati deboli e le criticità della scuola, della funzione docente, della professionalità docente.

In mezzo c’è un altro soggetto verso cui tendere un ponte: è l’alunno, lo studente che è nativo digitale, portatore di problematiche varie, bambino o adolescente dell’oggi. Come essere contemporanei a loro con la proposta formativa, con i mezzi educativi, con la significatività dell’apprendimento?

Cambiano i versanti, cambiano le dimensioni e, come Associazione, non possiamo che tendere ponti verso le altre associazioni, le organizzazioni sindacali, i nuovi movimenti e gruppi organizzati e semiorganizzati di colleghi e futuri colleghi. Con tutti abbiamo fili che ci uniscono e altri elementi identitari che, logicamente ,ci distinguono, ma sull’attenzione allo studente, alla professione oggi esistono meno distanze di una volta.

Oltre a questo, il ponte verso l’Accademia. Nella nostra lunga storia abbiamo vissuto varie stagioni di rapporti con il mondo dell’università. Oggi stiamo cercando di valorizzare le diverse specificità del sapere accademico e di quello professionale in una sinergia che porti, per esempio in quella iniziale, a promuovere una formazione equilibrata e completa del futuro professionista di scuola.

Altro ponte è quello verso i territori, nel senso che la specificità dell’AIMC, le quattro dimensioni storiche dell’AIMC sono sempre state quelle dell’essere docenti, essere soci in un corpo associato, essere laici impegnati, essere cittadini.

Per costruire ponti la cosa fondamentale sono le fondamenta. I pilastri di partenza quali sono? Sono i nostri tratti identitari, la nostra laicità impegnata, forte, consapevole che parte logicamente dal Magistero della Chiesa, analizza, studia, riflette, supporta e dà anche basi per la riflessività.

Sempre sui nostri tratti identitari, che sono le fondamenta da cui partiamo per gettare ponti logicamente verso gli altri, c’è il socio, dell’essere un corpo associato e, quindi, il rapporto fra centro e periferia, fra territorialità e nazionalità, fra partecipazione e rappresentatività, che è un problema oggi generalizzato.

Si tratta di attuare una riflessività seria, superando idee e interessi personali, andando verso il bene comune e cercare la strada migliore per la nostra Associazione oggi e per il futuro.

Sarà vero cantiere di democrazia associativa se saremo impegnati in maniera forte e consapevole a tutti i livelli, perché solamente nel collegamento tra territorio e nazionalità riusciamo ad avere il quadro della nostra associazione che è l’Associazione Italiana Maestri Cattolici.

La nostra attenzione, il nostro sforzo devono essere quello di avere coraggio, che significa non dare niente per definito, coraggio delle idee, creatività, coraggio di pensare che, forse, l’idea dell’altro può essere anche migliore della mia o che, probabilmente, l’idea dell’altro unita a una parte della mia idea può essere un’idea diversa dalle due e migliore.

Attenzione, però: le idee hanno bisogno del piano di fattibilità perché se no restano belle idee, ma non cambiano, solo sull’idea non si cambia, il mondo cambia quando un’idea si realizza.

Il tempo del Noi                                                                    (da il Maestro nn. 3-4/2017)                               

Giuseppe Desideri

Nel gennaio 2018, l’Associazione Italiana Maestri Cattolici terrà il proprio XXI Congresso nazionale. Meno di un anno, quindi, ci separa da quello che è il contesto di incontro, confronto, scelta principale previsto dal nostro Statuto.

È un’occasione importante, fondamentale per la nostra Associazione. Lo è certamente il Congresso nazionale in sé, ma lo è proprio in quanto parte di un processo che è nazionale, che coinvolge tutti i territori e tutti i soci.

Molte volte abbiamo riflettuto nel passato e nel presente, in Consiglio nazionale ma non solo, su senso e validità della nostra organizzazione democratica, statutaria che vede, nella procedura congressuale, il suo significato e coronamento maggiore. Ci siamo detti più volte che la nostra organizzazione è figlia di altri tempi, di un mondo diverso, non meno difficile, ma non altrettanto complesso.

Se confrontiamo il nostro modello di democrazia interna con quello di altri corpi associati ci rendiamo conto che è figlio di un’idea di partecipazione rappresentativa che, oggi, è messa in discussione a vari livelli, soprattutto nella riflessione e nel dibattito politico e movimentista.

È innegabile che, nonostante le varie modifiche e gli adeguamenti apportati nei decenni allo Statuto, l’impianto complessivo sia quello originario, derivato dal modello politico post dibattito costituzionale.

È un modello complesso? È oneroso in termini di tempo e risorse? Necessità di un supporto burocratico significativo? A queste domande non si può che rispondere affermativamente. C'è un modello migliore verso cui dirigersi? A questa domanda, invece, non è facile rispondere.

La democrazia partecipativa ha un costo in termini di tempo e risorse impegnate. Soprattutto, in un’Associazione come la nostra a trazione “territoriale”. Alla base dell’AIMC c'è la sezione che è il luogo dove si svolge prevalentemente la vita associativa del socio. Essere socio AIMC significa vivere la propria appartenenza soprattutto nella dimensione comunitaria dell’Associazione.

Il singolo è risorsa e ricchezza, ma è nella dimensione comunitaria, collaborativa e cooperativa che esercita la propria dimensione associativa. Per questo motivo, al centro c’è la sezione e il nostro Statuto prevede che proprio dalla sezione parta l’iter congressuale in un meccanismo di partecipazione delegata e rappresentativa. Ed è per lo stesso motivo che è proprio dalle sezioni che devono partire le proposte di modifica allo Statuto.

La democrazia associativa si basa sull’assunzione di responsabilità di ciascuno: responsabilità nello scegliere da chi farsi rappresentare; responsabilità nel farsi scegliere per rappresentare gli altri. Di livello in livello a cambiare è il grado di responsabilità, ma resta l’importanza dello scegliersi e farsi scegliere.

In un corpo associato complesso fondato sulla totale gratuità e volontarietà dell’impegno è possibile, anzi probabile, che ci sia difficoltà a trovare soci che si propongano per assumere incarichi. Soprattutto a livello sezionale dove l’impegno è costante.

Se si percepisce il ruolo, la funzione a cifra individuale, il timore ad assumere responsabilità può allontanare i soci. Se invece, come deve essere, i ruoli, soprattutto quelli apicali, vengono percepiti e, soprattutto, vissuti dall’intera comunità associativa nella condivisione della responsabilità e nell’ottica del gioco di squadra, nessuno si sente solo e sa che, nel momento del bisogno o della difficoltà, non resterà mai da solo.

 

Giuseppe Desideri

(da il Maestro nn. 1-2/2017)

Utopie cercasi

Giuseppe Desideri

Il dibattito a livello nazionale di questi ultimi mesi si è incentrato sulla data del termine di questa XVII legislatura. Dall’esito del Referendum in poi i toni si sono via via accesi trasformandosi in occasione di polemica e, addirittura, di scontro all’interno degli stessi partiti politici di maggioranza e opposizione. La scadenza naturale del 2018 non è sembrata, poi, così “naturale” e i più vorrebbero andare al voto anticipato. A supporto delle varie tesi, analisi, questioni e richieste legittime, come altrettanto degne di considerazione e valutazione quelle di chi, invece, vorrebbe portare al compimento previsto la legislatura. In mezzo ci sono veleni, accuse, interessi di parte, manipolazioni a uso proprio dei fatti politici. Rimettere al popolo la decisione su a chi affidare il timone è dare senso pieno alla democrazia, altrettanto, però, lo è discutere sull'orizzonte di senso verso cui dirigere la prua della progettualità del Paese. Fra queste direttrici di senso la scuola e l’educazione rivestono una significatività strategica.

Quale sia l’idea di scuola dei diversi soggetti partitici non appare chiara. L’unica cosa certa è che, fatta eccezione per il Pd – o almeno per quel che resta del Pd – il cavallo di battaglia di tutti sarà la contrapposizione a quanto fatto e/o previsto dalla Legge n. 107/2015 e dai decreti delegati che saranno approvati nei prossimi mesi.

Il rischio, infatti, è che gli otto decreti arrivino all'approvazione dopo un ampio dibattito fra addetti ai lavori e che vengano, alla fine, considerati non nei contenuti, più o meno condivisibili, ma  esclusivamente come “prolungamenti” della Legge e, quindi, immediatamente resi inefficaci dal futuro parlamento e derivante governo. Andando al voto allo scadere della legislatura, alcune previsioni dovrebbero essere già attive (quelle relative all’anno scolastico 2017/2018), mentre quelle per cui i tempi di attuazione sono dilatati potrebbero essere rese inefficaci sul nascere. Questa situazione, però, non fa che rendere ancora più preoccupante lo scenario che ci attende.

Essere contro, solamente, e non essere pronti con altre idee consolidate, non è quanto il mondo della scuola si aspetta. A dir la verità va dato atto alla seconda parte della XVII legislatura, e al premier Renzi, di aver voluto riportare la scuola ai primi posti dell’agenda di governo. Il dibattito attivato a livello nazionale è stato qualcosa di cui si sentivano vivi il bisogno e l’esigenza. Le modalità e i contenuti della Buona scuola, invece, sono andati, come ben sappiamo, per certi versi profondamente distanti dalle attese e dalle aspettative createsi. Sembrava che, finalmente, si riprendessero le fila di quei processi innovatori di cui il sistema scuola necessita per essere contemporaneo alle richieste e alle esigenze delle nuove generazioni e della società; invece, le idee, alcune anche con notevole forza propulsiva, si sono via via sgonfiate fino a risolversi in mere soluzioni a problemi. L’orizzonte di senso, spesso, si è perso nei meandri della dialogicità dei meccanismi parlamentari.

Dal dibattito sulle prossime elezioni e dai programmi delle varie forze in campo, ci si aspetta una rinnovata attenzione alla scuola e all’educazione sostanziata in proposte, innovative e non riciclate, sul pieno riconoscimento e valorizzazione della professionalità docente e dirigente; su modalità valutative degli apprendimenti e delle competenze degli alunni; su modalità attuative e realizzative di un’effettiva inclusione e del perseguimento del successo formativo di tutti, ma veramente tutti i nostri alunni.

Potrebbero sembrare obiettivi utopistici e fuori della realtà, ma una cosa accomuna vera educazione e sana politica: trasformare le utopie dell’oggi nel quotidiano di domani.

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